La scuola rappresenta il mezzo più adatto per formare le coscienze delle classi lavoratrici, pertanto le amministrazioni comunali devono sviluppare congrue condizioni di vita intorno alla scuola per sottrarla all’influenza dei partiti e conservarla al più assoluto indirizzo laico.
Alda Costa è stata la maestra perseguitata dal regime perché rifiutò di giurare fedeltà al fascismo.
Nata a Ferrara, il 26 gennaio 1876, fin da giovanissima aveva maturato posizioni politiche pacifiste e femministe. Ma è stato attraverso l’insegnamento che ebbe modo di toccare da vicino la condizione in cui versavano le classi popolari e il suo lavoro divenne un mezzo per emancipare le ultime e ultimi della società, dentro e fuori la scuola.
Aderendo alla federazione ferrarese del Partito socialista italiano, si dedicò con particolare impegno alla propaganda politica tra le donne e alla fondazione di circoli femminili nelle campagne circostanti.
Ha scritto a lungo sul Pensiero socialista, organo ufficiale dell’ala riformista.
Nel 1913 ha fondato il giornale Bandiera socialista.
Tre anni dopo venne nominata, dal congresso regionale di Bologna, responsabile, per la provincia di Ferrara, della propaganda per la pace e dell’organizzazione femminile del partito.
Venne schedata come sovversiva pericolosa e candidata all’internamento per essersi rifiutata di portare i suoi alunni alle parate militariste, rifiuto che teorizzò sul giornale per cui scriveva, in nome di una scuola umana e universale.
Molto preziosa è stata stata la sua attività politica, sindacale, giornalistica e organizzativa durante la guerra, che avversava con tutte le sue forze.
Ha continuato la sua attività politica anche dopo la marcia su Roma, carteggiando con gli esuli in Italia e all’estero, organizzando riunioni clandestine e adoperandosi in favore dei detenuti politici.
Rifiutatasi di prestare giuramento al fascismo, venne prima sospesa dall’insegnamento e poi licenziata.
È stata al confino per due anni, dal novembre 1926 al 1928, prima alle Tremiti e poi in Basilicata.
Rientrata, nonostante fosse stata ripristinata nei suoi diritti dal Consiglio di Stato, fu costretta a chiedere il pensionamento anticipato e mantenersi con le lezioni private.
Il 25 luglio 1943 venne liberata per essere di nuovo arrestata il 15 novembre e portata alle carceri di Copparo.
Tenuta a pane e acqua, sottoposta a durissimi interrogatori e maltrattamenti, non ha mai fatto i nomi dei compagni di lotta.
È morta di leucemia il 30 aprile 1944.
Prima di spegnersi, al direttore della prigione di Copparo, Antonio Buono, che l’aveva aiutata a passare a un altro socialista una lista di nomi di compagni per ricostruire le file del partito, lasciò questo messaggio: Dica ai miei compagni che sono rimasta fedele al mio ideale.
Il suo funerale si tenne in gran segreto. Per ordine della prefettura nessuno doveva partecipare, per evitare “turbamenti dell’ordine pubblico“.
Il 15 maggio l’edizione bolognese dell’Avanti! le dedicò un articolo intitolato Un grave lutto del proletariato ferrarese, nel quale era scritto tra l’altro: “La consorteria agraria e fascista esulterà soddisfatta per la scomparsa della sua più implacabile accusatrice“.
Nonostante quasi vent’anni di processi, confino, carcere, persecuzioni e violenze, Alda Costa è rimasta fedele ai suoi valori e ha perseverato nel suo impegno attivo per una società più giusta che non lasciasse indietro nessuna e nessuno.
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