“Sono abituata a essere considerata impopolare. Per me non è un problema. Molti israeliani mi considerano una traditrice, ma altri mi leggono con interesse e si sentono solidali con le opinioni che esprimo”.
Amira Hass è stata la prima giornalista ebrea israeliana a vivere stabilmente nei Territori palestinesi.
Lavora per il quotidiano Haaretz e tiene un diario sul settimanale italiano Internazionale dal 2001.
Ha vinto numerosi premi, tra cui il World Press Freedom Hero, l’International Women’s Media Foundation, il premio Reporter senza frontiere per la libertà di stampa, il Premio Bruno Kreisky per i diritti umani, il premio inaugurale Anna Lindh Memorial Fund e il Premio mondiale per la libertà di stampa UNESCO/Guillermo Cano.
È autrice dei libri Drinking the Sea at Gaza: Days and Nights in a Land under Siege, Reporting from Ramallah: An Israeli Journalist in an Occupied Land, Domani andrà peggio: Lettere dalla Palestina e Israele 2001-2005 e Diary of Bergen-Belsen: 1944–1945.
Nata a Gerusalemme il 28 giugno 1956 è figlia di attivisti comunisti sopravvissuti all’Olocausto. Ha frequentato l’Università Ebraica di Gerusalemme, dove ha studiato la storia del nazismo e il rapporto della sinistra europea con l’Olocausto.
Negli anni ’80 ha vissuto a Amsterdam dove ha preso parte ai movimenti femministi e di ebrei dissidenti.
Dopo varie collaborazioni con giornali indipendenti, nel 1989 ha iniziato a scrivere per il quotidiano Haaretz.
Nel 1991, durante la Prima Intifada, ha deciso di spostarsi nei territori occupati da dove è stata corrispondente per il quotidiano israeliano provando a portare una differente narrazione.
Due anni dopo si è spostata nella Striscia di Gaza dove ha vissuto per qualche anno prima di approdare a Ramallah, nel 1997.
Fino al 2003 è stata l’unica giornalista israeliana che viveva fianco a fianco della popolazione palestinese, prima a Gaza e poi a Ramallah, sostenendo che per riportare della Palestina si deve stare in Palestina.
Nelle sue critiche che non hanno mai risparmiato nessuna delle parti, ha narrato la progressiva militarizzazione dell’intifada, l’affermarsi dei fondamentalismi, gli scontri tra i diversi gruppi armati, la corruzione della leadership palestinese. Così come l’inasprimento dell’occupazione, le violazioni dei diritti umani e la grande povertà che minaccia d’inghiottire i villaggi e dei campi palestinesi.
Per il suo desiderio di chiarezza nell’esposizione dei fatti e ricerca della verità, spesso in opposizione a entrambe le versioni ufficiali, si è fatta nemici da entrambe le fazioni.
Nel 2001 è stata costretta a pagare una pesante multa dalla Corte di Gerusalemme per aver diffamato e leso la reputazione dei coloni ebrei di Hebron per aver reso note le denunce di alcuni palestinesi che li ritenevano colpevoli di aver occultato il cadavere di un manifestante ucciso dalla polizia israeliana.
Nel 2006, ha paragonato le politiche di Israele verso la popolazione palestinese a quelle del Sudafrica durante l’Apartheid, affermando che “i palestinesi, come popolo, sono divisi in sottogruppi, cosa che ricorda il Sudafrica nel periodo dell’Apartheid“.
Il primo dicembre 2008, entrata a Gaza a bordo di una flotta di attivisti palestinesi, è stata costretta a lasciare la Striscia a causa delle continue minacce ricevute in seguito alle critiche rivolte ad Hamas. Mentre tornava in Israele è stata poi arrestata dalla polizia israeliana perché entrata a Gaza senza permesso.
L’anno seguente è stata di nuovo arrestata per aver violato le leggi che vietano di risiedere in uno stato nemico.
Nel 2011 ha preso parte alla Freedom Flotilla II.
È stata accusata e denunciata dal consiglio ebraico, nel 2013, per aver scritto un articolo in cui difendeva la pratica palestinese del lancio di pietre definendola “diritto e dovere di qualunque soggetto sottoposto a dominazione straniera“.
Amira Hass continua imperterrita e impavida a portare avanti il suo lavoro di giornalista d’inchiesta in uno dei territori più esplosivi del pianeta. Lo fa con spirito critico, diretto e pungente, senza omettere e tralasciare particolari, a rischio della sua stessa incolumità.
Credo che fare il giornalista significhi sorvegliare i centri di potere, osservare da vicino come vengono applicate le politiche dei governi e se rispettano nei fatti ciò che hanno promesso i governanti.
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