Non solo sono nata donna ma anche palestinese, quindi la mia voce non viene accolta volentieri. Un produttore importante mi disse: «La tua è propaganda». Ho risposto: «Propaganda per chi? Per gli esseri umani?».
Annemarie Jacir è stata la prima donna palestinese dietro alla macchina da presa di un lungometraggio.
Ha scritto, diretto e prodotto oltre sedici film che parlano di persone comuni che si trovano in circostanze inusuali, sullo sfondo di una Palestina occupata.
Nata a il Betlemme il 17 gennaio 1974 da una famiglia cristiana, ha vissuto in Arabia Saudita, suo padre era responsabile dei campi profughi per l’ONU.
A sedici anni si è trasferita negli Stati Uniti dove si è laureata in Politica e Letteratura a Claremont.
L’amore per il cinema l’ha portata a Los Angeles e per un periodo ha lavorato dietro le quinte come assistente e lettrice di sceneggiature. Ma Hollywood non era il posto giusto per la sua visione e le sue idee, le veniva sconsigliato di nascondere le sue origini per andare avanti in quell’ambiente patinato.
Nel 1997, con Ossama Bawardi, ha fondato la casa di produzione cinematografica indipendente Philistine Films.
Ha conseguito un master in cinema alla Columbia University, quando ha presentato la sceneggiatura per il cortometraggio di tesi che parlava di una troupe cinematografica palestinese che si faceva strada attraverso i posti di blocco israeliani nei territori occupati nel tentativo di raggiungere Gerusalemme, il suo relatore le aveva detto che il posto migliore per quel soggetto era nella spazzatura. Ferma nella sua ambizione di portare alla luce questa storia, ha realizzato il progetto attraverso un crowdfunding e ha girato il cortometraggio Like Twenty Impossibles, nella Palestina occupata durante la Seconda Intifada, un’impresa coraggiosa per una ventenne.
Il cortometraggio, prima opera palestinese e di tutto il mondo arabo a partecipare in concorso al Festival di Cannes nel 2003, ha ottenuto numerosi riconoscimenti, fra cui il primo premio al Chicago International Film Festival.
Nel 2003, nella sua terra, ha curato l’organizzazione di un festival cinematografico itinerante per la diffusione di film storici e contemporanei.
Nel 2004, la rivista Filmmaker l’ha inclusa nella lista dei 25 nuovi volti del cinema indipendente.
Diversi suoi lavori hanno ricevuto premi importanti e sono stati selezionati per concorrere agli Oscar come miglior film in lingua straniera.
Nel 2007 è stata la prima donna palestinese a girare un lungometraggio, Il sale di questo mare, che ha riscontrato enormi difficoltà a causa delle leggi che impedivano agli attori gli spostamenti senza l’autorizzazione israeliana. È la storia di Soraya, una giovane palestinese residente a Brooklyn che, dopo la morte del padre, torna a Ramallah per tentare, inutilmente, di rientrare in possesso dei risparmi del nonno, esiliato durante la Nakba.
Appena ultimate le riprese, nel novembre 2007, è stata espulsa dalle autorità israeliane. Il suo lavoro le ha inimicato le alte sfere politiche che l’hanno obbligata a 5 anni di esilio in Giordania.
Da questa esperienza è nata l’ispirazione per il suo secondo lungometraggio, Quando ti ho visto che narra le avventure di un bambino palestinese di undici anni rifugiato in Giordania con la madre che si incammina da solo lungo il confine per tornare a rivedere suo padre. Il film ha vinto il premio NETPAC al festival di Berlino 2013 e innumerevoli altri premi cinematografici internazionali.
Il suo terzo film Wajib – Invito al matrimonio è un road movie ambientato a Nazareth che vede un uomo che vive a Roma ricongiungersi col padre rimasto in patria per rispettare la tradizione di consegnare personalmente gli inviti per le nozze della sorella. Vagando di casa in casa, emergono i dettagli del loro complicato rapporto e delle loro differenti visioni di vita. Il senso di adattamento del padre, consapevole e un po’ rassegnato ai rapporti di forza che governano la quotidianità di un territorio occupato, si scontra con l’impetuosità del figlio trentenne, animato da sentimenti di ribellione e di resistenza. Presentato in anteprima mondiale al Festival di Locarno nel 2017, dove ha vinto diversi premi, è stato insignito di riconoscimenti in tutto il mondo, compreso il Festival di Cannes e il BFI di Londra.
Attraverso il suo lavoro porta la Palestina nel mondo.
È stata nella giuria del Festival di Cannes nel 2018 e del Festival di Berlino del 2020.
Annemarie Jacir tiene corsi di cinema alla Columbia, dove partecipa al progetto Dreams of a Nation cinema project, dedicato alla promozione del cinema palestinese negli Stati Uniti e ancora al Barnard College, all’Università di Betlemme, alla Birzeit University in Cisgiordania e nei campi-profughi palestinesi e libanesi.
Appassionata di poesia e di narrativa, i suoi versi sono stati pubblicati su varie riviste e nel libro The Poetry of Arab Women: A Contemporary Anthology.
Da anni è impegnata attivamente con sua sorella Emily Jacir, che vive tra Roma e la Palestina, in un centro culturale nato per promuovere l’empowerment femminile.
Voglio raccontare storie vere, che mi interessano davvero, complesse, che pongono domande e lasciano dubbi. Ritrovandomi in contesti in cui rappresento l’unica testimonianza del mio paese ne divento inevitabilmente la portavoce. Le persone che non sono palestinesi vogliono che rappresenti il Paese, ma la comunità palestinese vuole che usi i miei film per raccontare tutto al mondo, perché per troppo tempo la nostra storia è stata esclusa e siamo stati resi invisibili.
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