Artemisia Gentileschi
Finché vivrò avrò il controllo del mio essere, mio illustre signore, vi mostrerò cosa può fare una donna.
Artemisia Gentileschi, pittrice del XVII secolo, è la prima artista di cui si sia mai parlato nella storia occidentale. Ha eseguito capolavori di grande realismo e potenza, dipingendo figure monumentali, espressive, vivaci, quasi teatrali.
Un’esistenza turbolenta in cui ha precorso i tempi e avuto il coraggio di portare in tribunale l’uomo che l’aveva stuprata. Ha lottato, per tutta la sua vita, per riuscire a fare ciò che desiderava, nonostante i tanti ostacoli dovuti al fatto che fosse una donna intenzionata a farsi valere in un’epoca non proprio illuminata, come quella in cui ha vissuto.
Nacque a Roma l’8 luglio 1593, in un periodo in cui la città era un grande centro artistico e la sua atmosfera satura di cultura e di arte costituiva un ambiente unico in Europa. Suo padre Orazio, era uno stimato pittore e lei crebbe tra i colori e i pennelli. Quando, a dodici anni perse la madre, si ritrovò, unica femmina, in bottega del genitore a fare apprendistato coi suoi fratelli.
Precoce talento, il primo quadro riconducibile al suo genio risale a quando aveva 17 anni, Susanna e i vecchioni, un’equilibrata sintesi tra il realismo di Caravaggio e le forme dei Carracci.
Suo padre, che ne riconosceva le doti artistiche, si prodigò molto per diffondere la sua arte presso le personalità più influenti dell’epoca. Per farla crescere artisticamente la mise a bottega dal pittore Agostino Tassi che, nel 1611, la violentò in modo brutale. Ne seguì un processo pubblico e molto chiacchierato, in cui fu la stessa vittima a essere torturata per farle ribadire la verità della propria denuncia. Ai tempi si riteneva che soltanto sotto tortura si potesse evincere la veridicità di una testimonianza.
La giovane pittrice, superando l’onta, la tortura, la vergogna riuscì a far condannare il suo carnefice che venne esiliato da Roma, anche se vi tornò dopo un anno grazie alle sue potenti amicizie.
Sul suo conto circolarono molte maldicenze, venne addirittura accusata di rapporti incestuosi col padre, di avere numerosi amanti e una condotta disdicevole. Non era tollerabile che una donna lavorasse, osasse dire la sua, viaggiasse da sola e fosse padrona della sua vita.
Il padre, dopo il processo, le organizzò un rapido matrimonio con un giovane pittore fiorentino di scarso livello, Pierantonio Stiattesi, di nove anni più anziano rispetto a lei, con cui la giovane si trasferì a Firenze. Ma Artemisia volava più in alto del suo coniuge, entrata nelle grazie del granduca Cosimo II de’ Medici e della moglie Cristina di Lorena, nel 1615 ha eseguito l’Allegoria dell’Inclinazione per l’amico Michelangelo Buonarroti il Giovane, e la Conversione della Maddalena di Palazzo Pitti. È stata amica di Galileo Galilei, con cui intrattenne un lungo rapporto epistolare e nel 1616 è stata la prima donna della storia, ammessa alla prestigiosa Accademia del Disegno fiorentina.
Lasciato il marito nel 1621, fece ritorno a Roma con le sue due figlie per poi spostarsi a Venezia e a Napoli dove, nel 1630, ha dipinto l’Annunciazione oggi conservata presso il Museo Nazionale di Capodimonte.
Diventata una delle personalità artistiche più importanti della città partenopea, nello stesso anno ha eseguito il famoso Autoritratto in veste di pittura.
Nel 1635 le vennero commissionate alcune opere per la cattedrale di Pozzuoli e l’anno seguente, si era trasferita a Londra per raggiungendo il padre Orazio che lavorava alla corte di re Carlo I. Insieme lavorarono al Trionfo della Pace e delle Arti per la Queen’s House di Greenwich (oggi è conservato a Londra presso la Marlborough House). Quando, nel 1639, il genitore si spense, Artemisia fece ritorno a Napoli dove è rimasta fino alla fine dei suoi giorni.
Ovunque andasse, era accolta con favore ricevendo commissioni che le hanno permesso di vivere del suo lavoro, anche se, considerato il suo enorme talento, non furono numerose come quelle dei suoi colleghi maschi.
Si spense probabilmente nel 1653, dopo un ultimo periodo di grande attività.
Il suo stile si era evoluto negli anni, le opere più cruente e brutali, risalgono al suo primo periodo in cui era forte l’influsso caravaggesco. Nel periodo fiorentino si era fatto più elegante e meno violento, per arrivare, poi, agli anni di Venezia, quando si è avvicinata a maestri come Tintoretto e il Veronese. Ha eseguito anche diversi autoritratti, come il ritratto in veste di pittura, un capolavoro che risale al 1630, conservato a Londra, a Kensington Palace, in cui si ritrae di tre quarti mentre sta lavorando, rompendo la tradizione comune di immortalarsi in posa.
Ignorata per secoli da molti storici dell’arte, Artemisia Gentileschi è stata rivalutata a partire da un articolo del 1916 scritto da Roberto Longhi, Gentileschi padre e figlia.
Nel XX secolo è diventata un simbolo femminista, una donna che si è ribellata alla violenza subita, un’artista indipendente e emancipata che riusciva a vivere del proprio lavoro.
Numerose sono le sue opere che ritraggono eroine bibliche come Giuditta, Betsabea o Ester che hanno la meglio sui soprusi maschili.
È stata una pittrice straordinaria, per la sua abilità e per il coraggio di essere padrona del suo destino, nonostante tutto, nel XVII secolo.
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