Djuna Barnes, artista, giornalista, drammaturga e scrittrice, è l’autrice di Nightwood, capolavoro narrativo del Modernismo, considerato dalla critica letteraria come uno dei romanzi più influenti del XX secolo.
Protagonista della vita culturale del Greenwich Village e della Parigi bohémienne, ha avuto una vita intensa e non convenzionale. Ha viaggiato, scritto, amato donne e uomini, praticato il poliamore, fatto esperienze di ogni sorta, frequentato i maggiori intellettuali del Novecento, è stata osannata dalla critica e più volte ha toccato il fondo.
Nata il 12 giugno 1892 a Storm King Mountain, nello stato di New York, in una famiglia assolutamente anticonformista, sua nonna paterna, Zadel Turner Barnes, era stata una scrittrice e giornalista militante suffragista, il padre, Wald Barnes, un artista di scarso valore, mantenuto dalla madre che sosteneva la poligamia e che, sebbene avesse sposato la madre Elizabeth Chappell nel 1889, aveva avuto diversi figli e figlie da donne diverse che aveva fatto crescere insieme, portando a vivere a casa loro anche la sua amante, Fanny Clark.
Djuna era la secondogenita di quella numerosa prole di cui si era occupata sin da bambina. Educata in casa, durante l’adolescenza aveva subito uno stupro di cui ha fatto riferimento in Ryder, il suo primo romanzo del 1928 e nella sua ultima commedia teatrale, The Antiphon del 1958.
Per pochi mesi, prima dei 18 anni, era stata sposata con Percy Faulkner, il fratello cinquantaduenne di Fanny Clark.
Quando, nel 1912, i suoi genitori divorziarono, aveva seguito la madre e tre fratelli a New York dove ebbe l’opportunità di studiare arte formalmente per la prima volta al Pratt Institute e all’Art Student’s League, ma le necessità economiche l’avevano costretta a lasciare gli studi per cominciare a lavorare. Il suo primo impiego come giornalista era stato al Brooklyn Daily Eagle dove appena arrivata aveva dichiarato: “So disegnare e scrivere, e saresti uno sciocco a non assumermi“, parole che sono state incise all’interno del Brooklyn Museum.
Agli esordi si occupava di cronaca e recensioni teatrali per diverse riviste e quotidiani e pubblicava racconti brevi.
Il suo approccio alla narrazione mostrava sempre un taglio soggettivo e una chiara voglia di sperimentare controcorrente.
Simpatizzando per la schiera più progressista del movimento suffragista, ha subito in prima persona la tortura dell’alimentazione forzata imposta alle donne in sciopero e si è occupata di boxe, sport tradizionalmente maschile che vedeva come una metafora attraverso cui riflettere sulla figura della donna nella sua epoca. Da questo spirito di osservazione, nel 1914, ha scritto il saggio My Sisters and I at a New York Prizefight in cui pone la domanda provocatoria: “What do women want at a fight?”. In questa frase è concentrato tutto il suo intento di scardinare una cultura che vedeva la donna come schiacciata e oppressa dal peso del maschilismo della società..
Ha vissuto nel Greenwich Village, nella fiorente comunità artistica nota per la sua atmosfera di libertà sessuale e intellettuale, ha fatto parte del collettivo teatrale amatoriale Provincetown Players, che puntava al risultato artistico piuttosto che al successo commerciale e ha avuto ruolo significativo nella carriera di Eugene O’Neill.
Cresciuta con modelli relazionali non convenzionali, non poteva che trovarsi a suo agio in quel clima di fermento. Nei circoli fu impegnata a criticare la gravidanza e a difendere la libertà sessuale che praticava con uomini e donne. Aveva manifestato la sua bisessualità alla famiglia quando aveva 21 anni.
Inviata a Parigi nel 1921 dal McCall’s Magazine per intervistare gli scrittori americani espatriati, divenne ben presto un nome chiacchierato nella scena bohémienne. L’amicizia con James Joyce aveva determinato il suo nuovo approccio modernista alla scrittura, lo stile che l’ha resa celebre preferendo dare spazio all’insolito e al grottesco.
Il suo primo romanzo autobiografico Ryder portava traccia della difficile impresa di tenere insieme tutti i pezzi di una relazione poliamorosa, fuori dalle convenzioni sociali. Quasi ogni capitolo del libro è composto in uno stile diverso, dal poetico alla prosa amorosa.
In quanto esperimento narrativo sulla vita della scrittrice e della sua famiglia (dietro nomi fittizi), il romanzo che aveva anche illustrato, non si presenta con una trama lineare, quasi a voler sottintendere la particolare instabilità delle relazioni e dei dialoghi, degli equilibri e delle convenzioni sociali. Alcune parti furono censurate al momento della pubblicazione e sostituite dall’autrice con degli asterischi che, per sua intenzione, dovevano far percepire quanto la censura statunitense in quegli anni avesse contribuito a deturpare la bellezza e l’armonia letteraria del libro.
Le difficoltà non impedirono al testo di diventare presto un bestseller per il New York Times.
Durante gli anni parigini visse una intensa relazione con la scultrice Thelma Wood, l’unica donna che abbia veramente amato, come ha dichiarato in fin di vita.
Ha fatto parte al salotto letterario di Natalie Clifford Barney diventata presto una delle sue più care amiche e uno dei personaggi centrali della sua raccolta di testi sulla vita delle artiste lesbiche a Parigi, Ladies Almanack del 1928.
Il suo più celebre romanzo Nightwood, ha visto la luce nel 1936 grazie a T.S. Eliot che ne aveva scritto anche la prefazione.
La pubblicazione, che contiene la descrizione esplicita di relazioni lesbiche, venne molto apprezzato molto dalla critica ma le vendite non furono altee per sopravvivere veniva aiutata finanziariamente dall’amica e mecenate Peggy Guggenheim, che la ospitava nella sua dimora frequentata da artisti e personaggi di spicco dell’epoca.
La fine della relazione con Thelma Wood insieme alle precarie condizioni economiche l’aveva portata alla depressione e all’abuso di alcool. Nel 1939 aveva anche tentato il suicidio in un hotel londinese.
Rispedita a New York, venne ricoverata in una struttura ospedaliera, il difficile rapporto con la madre era andato sempre più peggiorando tanto che l’aveva cacciata di casa ed era stata costretta ad andare ospite a casa di amici e conoscenti.
Dopo diversi anni bui e molte delusioni lavorative aveva trovato la forza di liberarsi dalla dipendenza da alcolici e aveva ripreso a scrivere la commedia in versi The Antiphon che ripercorreva la sua vita familiare scritta con rabbia e voglia di giustizia.
Negli ultimi anni della sua vita, reclusa volontariamente nel suo piccolo appartamento al Village, dopo aver perso ogni occasione lavorativa per il suo caratteraccio, ha continuato a comporre poesie, rimaneggiando i componimenti più volte fino a ottenerne ben 500 bozze di cui davvero poche vennero pubblicate. Nonostante l’artrite, scriveva otto ore al giorno, rifiutando ostinatamente inviti e visite di persone amiche e ammiratori e ammiratrici che desideravano incontrarla.
È stata inclusa nel National Institute of Arts and Letters nel 1961.
La più celebre sconosciuta al mondo come amava definirsi, protagonista del fermento culturale del Village e della Rive Gauche, che ha vissuto sempre assecondando i suoi desideri, che non ha mai nascosto i suoi impulsi e le sue idee, che ha finito per isolarsi completamente dalla realtà, si è spenta a New York, il 18 giugno nel 1982 e con lei è finita la generazione del modernismo anglo-americano.
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