Solo un progetto di liberazione dal sistema coloniale-capitalista potrà contribuire a risolvere il problema del riscaldamento globale. E questo progetto è un’ecologia “pirata”, che ha i piedi ancorati nei quartieri operai d’Europa e i suoi occhi rivolti all’Africa.
Fatima Ouassak, politologa e militante ecologista, femminista e antirazzista, è co-fondatrice di Front de mères, unione di genitori francesi – oggi presente anche in Belgio e Lussemburgo – che lotta contro la violenza della polizia, la discriminazione razzista a scuola, le conseguenze del cambiamento climatico.
È tra le fondatrici di Verdragon, la prima casa dell’ecologia popolare, uno spazio in cui si realizzano progetti e azioni legate al cibo, ai rischi industriali, all’inquinamento atmosferico, alla genitorialità, alla maternità e al contrasto alla violenza di genere.
Nata nel 1976 nella regione del Rif, in Marocco, aveva un anno quando si è trasferita in Francia, per ricongiungersi al padre.
È cresciuta a Lille dove ha studiato Scienze Politiche prima di specializzarsi alla Sorbonne.
Presiede l’organizzazione femminista Réseau Classe Genre Race, nata da un suo opuscolo del 2015, intitolato Discriminazioni di classe/genere/razza, parametri di riferimento per comprendere e agire contro la discriminazione subita dalle donne a causa dell’immigrazione post-coloniale.
Insieme ad altre quattordici femministe, ha contribuito all’opera Sororité, diretta da Chloé Delaume, pubblicata in 2021. Il suo testo si concentra su uno dei suoi argomenti preferiti, la lotta delle madri contro la criminalità infantile, che è stato anche l’argomento della voce che ha scritto nell’opera Feu, ABC dei femminismi attuali, diretta dalla filosofa Elsa Dorlin.
Il suo libro The Power of Mothers ha ricevuto il Premio del pubblico per il saggio femminista nel 2021 dalla rivista Causette.
Nel testo, elabora un progetto politico radicato nei quartieri popolari, che mette al centro la terra, lo spossessamento di cui fanno esperienza le persone che partono dall’Africa e che arrivano in Europa (dove saranno sempre dei “senza-terra”) e di chi subisce il furto sistematico della propria terra, come la popolazione palestinese.
L’assunto che è alla base sostiene che liberazione della terra non può prescindere da quella animale, dalla libertà di movimento, dalla liberazione da un sistema capitalista in cui a pagare le spese del collasso climatico e dei disastri ambientali sono le persone già esposte alla povertà, all’inquinamento, a condizioni di vita malsane, come ha dimostrato lo scoppio della pandemia da Covid 19.
Ritiene che, l’identità, da sola, non basta a porre le basi per un progetto politico di liberazione senza una coscienza di classe, senza riappropriarsi dello spazio per respirare.
Fa parte del Consiglio Nazionale della Nuova Resistenza, per cui ha pubblicato l’opera Resistiamo insieme. Richiesta di giorni felici.
Ha contribuito anche alle raccolte After the Rain. Orizzonti ecofemministi e a Femminismi nel mondo, 23 racconti di una rivoluzione planetaria.
Nell’aprile 2022 ha co-firmato l’appello del quotidiano Elle intitolato “Marine Le Pen all’Eliseo? Per noi no!»
Nel marzo 2023 è uscito il suo libro Per un’ecologia pirata: E saremo liberi in cui auspica l’ampliamento di un fronte sociale ecologico e invita a ripensare il posto dei residenti dei quartieri operai in queste lotte, i rapporti di potere tra le razze, lo Stato francese e l’immigrazione post-coloniale.
Risale la rotta che conduce verso le periferie interne delle grandi città occidentali, con particolare attenzione a Parigi, tra le strade dissestate dei ghetti dove vivono i figli e le figlie di chi ha attraversato le frontiere per fuggire da fame, cambiamenti climatici e guerre. Attraversa i quartieri popolari definiti da nuovi muri, dove si respira poco ossigeno e molto odio, e dove la lotta per la sopravvivenza non ha ancora trovato tregua.
Il suo posizionamento è fortemente situato, parla da ricercatrice e attivista, da madre e donna di origine marocchina che attraversa gli svincoli autostradali, le palazzine e le scuole dimenticate del quartiere di Bagnolet a Parigi. Questa molteplicità di prospettive si traduce in una scrittura densa, capace di pensare per immagini, di muoversi tra draghi, pirati e storie per bambini, intrecciando il saggio, il pamphlet politico e la narrazione autobiografica.
Contro un’ecologia difensiva, che si limita a denunciare ciò che non funziona senza offrire una visione chiara della società che desideriamo per noi e per le generazioni del futuro, propone di ripartire dalla terra e dalla lotta contro l’alienazione e il disancoraggio forzato che milioni di persone vivono quotidianamente.
Se il movimento per la giustizia ambientale non affronta questo nodo cruciale rischia di perpetuare un rapporto coloniale con i quartieri e le classi popolari. In tal modo, rischia di affermarsi come un progetto compatibile con il sistema coloniale capitalista e con il mantenimento dell’ordine stabilito.
Per essere all’altezza delle sfide del presente, bisogna saper interrogare i sistemi di oppressione e dominio che contribuiscono alla distruzione del vivente, come i rapporti di subordinazione tra nord e sud del mondo, tra quartieri ricchi e poveri, tra classi dominanti e popolari.
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