Francesca Serio è stata la prima donna, nella Sicilia degli anni ’50, a rompere l’omertà mafiosa, denunciando gli autori e i complici dell’omicidio del figlio, il sindacalista socialista Salvatore Carnevale.
Nata a Galati Mamertino, in provincia di Messina il 13 agosto 1903, dopo la prematura morte del marito si era trasferita a Sciara, in provincia di Palermo, dove lavorava nei campi per crescere il suo unico figlio.
Questi, negli anni, era diventato segretario del Partito Socialista e, da dirigente sindacale, aveva vissuto intensamente l’ultima fase delle lotte contadine, battendosi per la riforma agraria e scontrandosi con mafiosi e proprietari terrieri, come i Notarbartolo, padroni di Sciara.
Tra le varie battaglie intraprese c’era stata, nel 1951, l’occupazione di alcuni terreni incolti da parte di trecento contadini. Per questa azione, venne arrestato. Uscito dal carcere, si era trasferito in Toscana, dove rimase a lavorare per due anni. Tornato in Sicilia nel 1954, venne assunto per i lavori di costruzione del doppio binario ferroviario che, per i materiali, sfruttavano una cava di proprietà dei Notarbartolo.
L’uomo aveva organizzato gli operai, chiedendo l’applicazione della giornata lavorativa di otto ore contro le undici in cui erano impiegati e si fece parecchi nemici negli alti vertici. Provarono a corromperlo, a minacciarlo, ma restava fermo sulle sue posizioni e la mattina del 16 maggio 1955, mentre si recava a lavorare, venne assassinato.
Francesca Serio, dopo la morte del figlio ne ha raccolto l’eredità, accusando i mafiosi e denunciando la complice passività delle forze dell’ordine e della magistratura.
Ha partecipato a manifestazioni pubbliche, accanto a Sandro Pertini, che l’aveva assistita e ad altri dirigenti del Partito socialista. Una grande campagna di sensibilizzazione venne portata anche dal quotidiano Avanti!.
Per i militanti di sinistra è stata mamma Carnevale, la donna che aveva accusato i mafiosi di Sciara.
Ha partecipato ai processi, celebrati per legittima suspicione fuori dalla Sicilia, il primo a Santa Maria Capua Vetere, il secondo a Napoli, costituendosi parte civile, ha visto gli imputati condannati in primo grado all’ergastolo e poi assolti in appello per insufficienza di prove.
Dopo l’assoluzione, aveva preso a celebrare nella sua casa poverissima, un suo processo civile e politico, in nome di una giustizia che non combaciava con la legge.
Per anni è stata un’icona antimafia e la sua storia ha ispirato Carlo Levi, che l’ha intervistata nel suo libro Le parole sono pietre (vincitore del Premio Viareggio per la Narrativa nel 1956), in cui ha descritto il suo dolore straziante e la sua determinazione a continuare la lotta del figlio.
Altri libri sono stati scritti sulla vicenda di questa madre che ha osato sfidare tutto e tutti invece di soccombere nel dolore.
È morta, quasi dimenticata, il 16 luglio 1992, aveva 89 anni.
Io non voglio dimenticare il coraggio e la determinazione che l’hanno accompagnata per tutto il corso della sua dura esistenza.
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