Lotte Pritzel è l’artista passata alla storia per le sue bambole che rappresentavano personaggi famosi, ballerine, figure esotiche e androgine.
Lotte è il diminutivo di Charlotte Pritzel, nata a Breslavia, in Polonia, il 30 gennaio 1887. Appena diciottenne si era trasferita a Monaco per studiare arte. Viveva a Schwabing, quartiere a ridosso dell’accademia e dell’università, dove ebbe modo di frequentare importanti esponenti dell’avanguardia artistica e intellettuale internazionale.
Intorno al 1908 ha iniziato a creare le sue bambole concepite come elementi decorativi e oggetti d’arredamento, denominate Puppen für die Vitrinen.
Dopo pochi anni erano già sulle riviste d’arte e nel 1913 furono in mostra all’Esposizione universale e internazionale di Gand e vendute a caro prezzo nel negozio Hohenzollern Friedmann & Weber a Berlino.
Erano molto amate anche dal pittore espressionista Egon Schiele che gliene commissionò una serie ancora conservata nella sua fondazione.
Lotte Pritzel divenne ben presto una figura nota nel circolo di artisti bohémien che si incontravano in famosi caffè della capitale.
Famosa per il suo spirito arguto, venne celebrata su riviste e in scritti famosi, il poeta Jakob van Hoddis le dedicò la poesia Indianisch Lied.
Tra il 1910 e il 1927 la rivista Deutsche Kunst und Dekoration pubblicò sette articoli corredati da illustrazioni delle sue opere, che hanno permesso di seguire l’evoluzione del suo stile, sia nella forma che nelle strategie di presentazione delle bambole.
Rainer Maria Rilke, il celebre poeta boemo, su queste piccole opere d’arte scrisse un saggio nel 1921.
Le sue creazioni trovarono mercato anche negli Stati Uniti.
Inizialmente flessibili e fatte di cera, vennero successivamente decorate con garze, pizzi, perle di vetro e frammenti di broccato.
Le sue bambole non sono mai state ideate come giocattoli per l’infanzia, i corpi quasi scheletrici, i volti truccati, i costumi sfarzosi, l’uso di gioielli e parrucche, le pose sensuali, il genere sessuale spesso indefinito, si ponevano agli antipodi del modello tradizionale destinato ai giochi.
Rappresentavano danzatrici, amanti malinconici, cortigiane, donne di diverse etnie, misteriosi personaggi della commedia dell’arte, madonne, angeli con fisionomie androgine, sovente in scenari orientaleggianti.
Una relazione affascinante si stabilì tra questi oggetti, il cinema e la danza espressionista che ne venne ispirata in famose coreografie.
Annoverate nella categoria delle Kultur Doll, all’inizio venivano illustrate insieme come un gruppo di tableau vivant dall’alta connotazione teatrale, successivamente vennero fissate su piedistalli, sempre più elaborati, che sembravano alludere al loro status di scultura, di arte autonoma che rappresentava star del cinema muto e manichini surrealisti, accentuando la loro artificialità.
Lotte Pritzel ha lavorato come costumista e scenografa in diversi teatri di Monaco e Berlino.
Nel 1923 era talmente popolare che le venne dedicato un film documentario dal titolo Die Pritzel-Puppe, diretto da Ulrich Kayser, in cui veniva ripresa nel suo studio mentre era immersa nelle sue creazioni.
Con l’avvento del nazismo la situazione cambiò notevolmente e le divenne sempre più difficile esporre in pubblico e vendere il suo lavoro: le sue bambole androgine e languidamente erotiche mal si conformavano con i corpi idealizzati promossi dalla politica culturale nazista.
Lotte Pritzel è morta il 17 febbraio 1952, a causa di un ictus, aveva 65 anni.
Dopo decenni di oblio è stata riscoperta negli anni ottanta, in seguito all’interesse maturato per le bambole nell’ambiente bohémien di Monaco degli inizi del ventesimo secolo.
Nel 1987, in occasione del suo centesimo compleanno, a Monaco le è stata dedicata una personale dal titolo Lotte Pritzel. Bambole di vizio, di orrore e di estasi.
Sono state identificate più di duecento sue opere, in gran parte conservate in collezioni private e pubbliche.
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