Maddalena Cerasuolo e le “Quattro giornate di Napoli”
La donna simbolo della liberazione di Napoli dai nazifascisti
Ma il Ventotto
dello stesso mese
il popolo insorse
contro il massacro e il sopruso,
e c’ero anch’io dietro la barricata,
ragazza piena di amor di patria.
Trovai una mitraglietta
e sparai, sparai, sparai
contro le camionette
e i carri armati…
Maddalena Cerasuolo è la donna simbolo delle ‘Quattro giornate di Napoli’ l’insurrezione popolare contro l’esercito tedesco, che si svolse dal 27 al 30 settembre 1943.
Napoli è stata la prima città italiana a liberarsi da sola dall’occupazione nazifascista, ancor prima dell’arrivo delle truppe americane. Un anno e mezzo prima che Milano fosse liberata il 25 aprile del ’45.
Maddalena Cerasuolo, detta Lenuccia, nacque nella città partenopea il 2 Febbraio 1920, in una famiglia popolare e numerosa, aveva cinque sorelle e due fratelli. Il padre Carlo, cuoco, aveva ricevuto la medaglia d’argento al valor militare per le sue azioni nella prima guerra mondiale. Durante il secondo conflitto mondiale, gestiva la mensa dell’Ansaldo, in seguito perse il lavoro e si mise a vendere pizze fritte per strada aiutato dalla moglie, Annunziata Capuozzo, che era stata aiuto-cuoca nella stessa fabbrica del marito. La giovane Maddalena, che faceva l’operaia in un calzaturificio, non esitò ad andare a combattere per le strade di Napoli in rivolta, per seguire il padre e il fratello Giovanni, entrambi militanti antifascisti.
Durante gli scontri armati nel quartiere Materdei, per impedire che i tedeschi depredassero una fabbrica, si offrì di andare da sola in avanscoperta per poter valutare l’entità delle forze tedesche, mettendo a rischio la propria vita.
Il 29 settembre del 1943, grazie al suo coraggio e tempestività ha impedito la distruzione del ponte della Sanità, già minato e pronto ad esplodere, che rappresentava un’importante arteria per l’ingresso in città.
In seguito alla liberazione di Napoli, ha continuato a impegnarsi affinché anche il resto d’Italia venisse liberato.
Col nome di battaglia di Maria Esposito, sigla “C22”, ha operato dal 23 ottobre 1943 all’8 febbraio 1944, con lo Special Operations Executive, i servizi segreti britannici.
Ha partecipato a una serie di operazioni per oltrepassare le linee nemiche, che la portarono in Corsica e fino a Bastia, con l’obiettivo di sabotare, una volta in Liguria, siti militari del nemico. Imbarcata su di un sommergibile partì per Genova, dove venne bloccata da una camionetta di fascisti che la interrogarono, sospettando che fosse una spia. Lei, mostrando una cartolina e sostenendo di dover raggiungere un zio a Sanremo perché aveva perso l’intera famiglia a causa dei bombardamenti, riuscì a farla franca.
In seguito è stata paracadutata oltre le linee nemiche che si trovavano fra Roma e Montecassino per raccogliere informazioni fingendosi cameriera dell’artista Anna D’Andria con cui collaborava, organizzando feste in società per carpire informazioni sulla strategia tedesca.
Nel 1945, per il suo impegno nella Special Force, le venne consegnato un “Attestato di Benemerenza” dal Comando Numero 1 della Special Force.
Il 24 maggio del 1946, è stata riconosciuta partigiana e insignita con una medaglia di bronzo al valor militare.
Ha vissuto per tutto il resto della sua vita a Napoli, con le sue testimonianze è diventata il “volto” e la “voce” delle donne della Resistenza napoletana.
È morta a Napoli il 23 ottobre 1999.
Il 3 Marzo del 2000 a Napoli le è stata dedicata una una targa “la straordinaria Lenuccia eroina delle quattro giornate del 1943 in perenne ricordo e ammirazione”.
Il 27 gennaio 2011 le è stato intitolato il ponte che sovrasta il rione Sanità e che lei ha contribuito a salvare. Uno dei pochissimi ponti in tutta la penisola intitolati a una donna.
Sua figlia, Gaetana Morgese, ha scritto la sua storia nel libro “La guerra di mamma”.
La partecipazione di Maddalena Cerasuolo alla rivolta delle “Quattro giornate di Napoli” non è stata un caso isolato, l’intervento delle donne napoletane nell’insurrezione fu massiccio, considerando anche il fatto che la maggior parte degli uomini erano arruolati.
Il ruolo della componente femminile nell’insurrezione, però, è stato troppo spesso ignorato o sminuito.
Dai racconti della stessa Maddalena Cerasuolo, furono proprio le donne napoletane a iniziare l’insurrezione, non il 27 ma già il 23 di settembre, nel giorno della promulgazione del famigerato “Editto Sholl”, con il quale si imponeva a circa trentamila giovani napoletani, di età compresa fra i 18 e i 33 anni, di presentarsi spontaneamente ai centri di reclutamento per essere deportati in Germania nei campi di lavoro, pena la fucilazione.
Questi giovani, di ritorno dai vari fronti di guerra europei, accolsero la notizia con angoscia tanto da decidere di non presentarsi, consapevoli che non sarebbero più tornati.
E ne erano consapevoli anche le donne napoletane, decise a nascondere e difendere in ogni modo i propri figli, mariti, fratelli e salvarli dai nazifascisti.
In mille modi riuscirono ad aggirare i controlli dei tedeschi e dei fascisti che cercavano gli “imboscati”, come fece una mamma del rione Materdei che per salvare dei ragazzi ebbe l’idea di fingersi malata di lebbra, scoraggiando così i tedeschi a entrarle in casa.
L’intraprendenza e il coraggio delle donne napoletane vennero fuori in tutta la loro forza in quei momenti drammatici e quando i nazifascisti iniziarono i rastrellamenti casa per casa per stanare tutti coloro che si erano nascosti per disattendere la chiamata fu allora che le donne scesero in strada per bloccare le truppe, in ogni modo, e salvare la vita ai loro cari.
Quando fu costruita la barricata nella zona di San Giovanniello, anche i “femminielli” (termine napoletano per persone omosessuali e transessuali) accorsero in massa per difenderla, per anni erano stati abituati a fronteggiare la polizia e il potere e non si tirarono indietro davanti all’occupazione nazista.
La rivolta napoletana del 1943, con eterosessuali e “femminielli” che combatterono fianco a fianco, ha rappresentato una delle principali lezioni di integrazione nella storia contemporanea italiana. Soprattutto, considerando il momento storico in cui si è verificata, un periodo caratterizzato dal confino, da violenze e eccidi contro omosessuali e transessuali.
Dopo anni di soprusi, per gli omosessuali napoletani arrivò il momento di prendersi la loro rivalsa, cogliendo al volo l’occasione di non stare a guardare, ma entrare a far parte della storia.
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