Maria Oliverio, la brigante Ciccilla
Mitica figura di combattente che ha ispirato Alexandre Dumas
Maria Oliverio è stata una donna dedita al brigantaggio in Calabria dopo la proclamazione del Regno d’Italia di Vittorio Emanuele II.
Il nome di battaglia, Ciccilla, era stato scelto in disprezzo di Francesco II delle Due Sicilie, chiamato dal popolo, Franceschiello.
Nacque il 30 agosto 1841 a Casole Bruzio, in provincia di Cosenza, e da giovanissima svolse l’attività di filatrice. Donna libera e ribelle, abituata a cavarsela da sola, ha sempre seguito il suo istinto e le sue ragioni.
Nel 1858, all’età di 17 anni, sposò Pietro Monaco, prima soldato dell’esercito meridionale, poi volontario garibaldino, deluso dalle mancate promesse divenne disertore e si trasformò in uno dei più abili e feroci briganti della storia.
Nel marzo 1862, per costringere il marito a costituirsi, venne arrestata da Pietro Fumel mandato in Calabria per reprimere il brigantaggio, famoso per le torture, le esecuzioni pubbliche, lo scempio dei cadaveri decapitati e impalati nelle pubbliche piazze.
Mentre era in carcere le era arrivata voce che sua sorella Teresa era l’amante di suo marito, appena uscita, andò da lei e la uccise con numerosi colpi d’accetta, davanti ai nipoti.
Per sfuggire al corso della giustizia, si unì alla banda dei briganti del marito nella Sila e, abile nel tiro e audace nell’azione, scalò presto le gerarchie di comando.
Durante i pochi anni passati a combattere si è resa protagonista di due imprese clamorose: il sequestro di nove persone a Acri il 31 agosto 1863 e il rapimento di due cugini che fruttò alla banda la cifra record per i tempi di 20.000 ducati.
La banda di cui ha fatto parte, composta da una quarantina di elementi, compì furti, violenze, incendi e omicidi.
Il 24 dicembre 1863, il marito venne ucciso a tradimento durante il sonno. Lei, rimasta ferita al polso durante la sparatoria, prese il comando della banda e tenne in scacco l’esercito del re per quasi due mesi. Rifugiata in una grotta nella Sila, aveva vissuto come una lupa, cacciando da sola gli animali da mangiare, scaldandosi con un piccolo fuoco, rintanata per non farsi scoprire. Venne catturata, perché tradita dai contadini del luogo. Dopo uno scontro a fuoco in cui rimase asserragliata per un giorno intero, dovette soccombere al nemico che all’inizio, l’aveva scambiata per un uomo.
Il processo, che la vide imputata per trentadue capi d’accusa, si tenne a Catanzaro davanti al Tribunale di Guerra il 16 febbraio 1864, aveva ventidue anni.
Scritture del tempo citano: “Si fa noto che si è qui presentata vestita da uomo indossando gilè di panno a colore, giacca e pantaloni di panno nero e il capo avvolto in un fazzoletto.”
Si era dichiarata illetterata mentre, in realtà, sapeva leggere e scrivere, aveva fatto le scuole elementari e rubato i libri al marito per indottrinarsi, ma aveva preferito farsi passare come una tessitrice ignorante davanti alla legge. Così come andava in giro vestita da uomo perché era l’unico modo per sentirsi libera e avere il comando di una pattuglia.
Dei vari reati di cui era accusata negò tutto tranne l’assassinio di sua sorella, sostenendo che a compiere le sue azioni era stata costretta dalla militanza.
La condanna fu esemplare, è stata l’unica donna coinvolta nel brigantaggio condannata a morte, sentenza poi commutata in carcere a vita da Vittorio Emanuele II. Venne rinchiusa nella fortezza di Fenestrelle a Torino, tristemente famosa come luogo di pena di tanti combattenti ed ex soldati borbonici.
È morta, verosimilmente, dopo 15 anni, nel 1879, ma non esistono documentazioni certe che ci possano far risalire alla successiva storia della sua vita o ai dati relativi alla sua data di morte o luogo di sepoltura.
La figura di Ciccilla ha affascinato lo scrittore Alexandre Dumas che, sul suo giornale L’Indipendente, scrisse un racconto sulle sue gesta e quelle del marito dal titolo Pietro Monaco sua moglie Maria Oliverio e i loro complici.
La sua storia viene citata in diversi libri sul brigantaggio che la descrivono come abile stratega, avvezza a una vita di fatica, che sapeva usare bene le armi, terribile coi traditori, combattiva con i soldati piemontesi ma mite con gli ostaggi e le persone innocenti. Perfettamente integrata nella banda, godeva dell’assoluta fiducia del compagno e sovente ne faceva le veci.
La sua vita è stata recentemente raccontata nel romanzo Italiana di Giuseppe Catozzella del 2021 e ha ispirato il film Brutta Cera di Andrea Bonanno, del 2019.
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