Ci vuole pochissimo per arrivare a uno stato di concentrazione molto prolungato nel tempo.
In questo lungo intervallo si scoprono varie cose sul proprio sistema nervoso, e si finisce per trascendere il tempo. E finalmente ci si sente felici.
Sono riuscita a sperimentare questo stato per brevi momenti. Era come arrivare alla struttura portante della vita.
Nella data del suo compleanno, mi piace ricordare Marisa Merz, importante artista concettuale e unica donna dell’arte povera.
Nata Maria Luisa Truccato, il 23 maggio 1926 a Torino, ha firmato i suoi lavori col cognome del marito, Mario Merz, sposato nel 1950.
La sua ricerca si è avvalsa di soluzioni formali sempre diverse che vanno dal disegno alla scultura, dalla pittura all’installazione. Ha recuperato tecniche artigianali come il cucito e l’intreccio, insistendo sull’importanza della manualità del fare artistico.
Una costante della sua opera è l’esplorazione delle interazioni fra spazio interiore, identità, vita privata e spazio sociale.
La sua prima mostra, nel 1966, si è tenuta nella sua casa studio, rendendo indistinte le frontiere fra spazio intimo e luogo pubblico.
A partire dal 1967, l’uso di materiali come la lana e il rame, conduttore di energia, hanno prefigurato il suo percorso nella corrente dell’arte povera che rifiutava i classici supporti dell’arte tradizionale a favore dell’impiego di materiali ‘poveri’ come scarti, stracci, plastica, ferro, legno e terra.
Con il gruppo, composto da artisti come Boetti, Fabro, Kounellis, Pistoletto, ha partecipato a varie mostre, tra cui Arte povera più azioni povere ad Amalfi nel 1968, in cui ha presentato sulla spiaggia coperte arrotolate e imballate con filo di rame o scotch (Senza Titolo, 1966) e opere legate all’infanzia della figlia Beatrice realizzate con filo di nylon, rame o lana, tra cui Scarpette (1966) e Bea (1968).
L’utilizzo di materiali di recupero è stato funzionale a tracciare la sua storia personale, lasciando spazio all’elaborazione poetica di brani della propria biografia, dove la ricerca di nuovi mezzi espressivi nell’arte incontra gli accadimenti della vita quotidiana.
Negli anni settanta, nelle sue installazioni, ha riutilizzato parte degli oggetti appartenenti alle opere precedenti e creato teste di legno o di terra, adornate con foglie in contrasto a fili d’oro o rame.
Negli anni Ottanta ha deciso di partecipare soltanto a manifestazioni collettive internazionali, come Documenta 9 a Kassel e, nella sua produzione, si è dedicata alla realizzazione di disegni e dipinti che vedono la centralità del volto, in particolare quello femminile, reso con un tratto veloce che richiama la forza e la resistenza del filo di rame, restituendo l’intensità dello sguardo. Ritratti (forse autoritratti) in cui l’immagine emerge da un groviglio intricato di segni e in cui le forme assorbono continuamente altre forme.
La consacrazione sulla scena artistica globale è arrivata negli anni novanta, quando è tornata alle esposizioni personali, come quelle del Centre Pompidou di Parigi, dello Stedelijk Museum di Amsterdam e del Metropolitan Museum di New York.
Nel 2005 è nata la Fondazione Merz, all’interno di una centrale elettrica in uso negli anni trenta a Torino, dove sono raccolte le opere di Marisa Merz e Mario Merz e vengono ospitate anche delle mostre temporanee.
Celebrata in una grande esposizione alla Serpentine Gallery di Londra nel 2013, nello stesso anno è stata insignita del Leone d’Oro alla carriera, in occasione della 55° Biennale di Venezia.
È morta all’età di 93 anni il 19 luglio 2019.
L’arte di Marisa Merz è lirica, sottile e privata. Le sue sculture, installazioni e disegni sono poetici, suggeriscono qualcosa di segreto e di prezioso nascosto nella loro trama.
Le sue opere sono materiali e immateriali al tempo stesso, coglie ed espande istanti poetici, momenti di delicato equilibrio in cui tutto sembra perfetto.
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