Maysoon Majidi
Attivista curda iraniana scappata dal regime per ritrovarsi in prigione in Italia con l'accusa di essere stata la scafista dell'imbarcazione su cui viaggiava per cercare la salvezza
Sono venuta in Europa con la speranza di trovare una nuova casa e una nuova vita in una nazione in cui i diritti umani, libertà e dignità dell’individuo hanno valore. Vi prego di non lasciarmi sola. La vostra azione può fare la differenza tra speranza e disperazione, tra libertà e prigionia
Che ci faccio io qui? Ogni volta che, attaccata alla bombola di ossigeno, lotto per la sopravvivenza affrontando gli attacchi di panico. Ogni volta che perdo i sensi e cado per terra ma cerco di rimanere vigile mentre mi dico che sono dalla parte della ragione e non devo farmi ingannare dall’effetto dei tranquillanti, è questa la domanda che si ripete continuamente nella mia testa: che ci faccio qui? Perché sono venuta qui?
Maysoon Majidi è una regista e attrice curda iraniana, attivista per i diritti delle donne, scappata dalla Repubblica islamica per salvarsi la vita che è, attualmente detenuta in Italia con l’accusa di aver favorito l’immigrazione irregolare.
Rischia fino a 16 anni di carcere, una multa di 15mila euro per ogni persona a bordo della nave (per un totale di 77) e il rimpatrio in Iran, dove, in quanto curda, la sua incolumità sarebbe a rischio.
Nata il 29 luglio 1996, è stata licenziata dall’università dove lavorava a causa del suo impegno sociale, politico e culturale nella promozione dei diritti delle donne. Più volte è stata picchiata e torturata, è stata anche ricoverata in ospedale per le percosse subite.
Nel 2023 ha lasciato la sua casa in Iran cercando di fuggire dal regime oppressivo che vige nel paese e si è rifugiata prima nel Kurdistan iracheno, poi ha provato a raggiungere l’Europa dalla Turchia, su una delle tante imbarcazioni di fortuna utilizzate da persone che sfidano il mare pur di trovare una vita migliore.
Sbarcata a Crotone nel dicembre del 2023, è in carcere, con l’accusa di essere una scafista, basata sulla testimonianza di due persone che viaggiavano sulla sua stessa imbarcazione. È detenuta nel carcere di Reggio Calabria, in cui è stata trasferita il 5 luglio, dopo sei mesi passati nel penitenziario di Castrovillari.
Tutto questo accade nonostante gli evidenti errori di traduzione delle deposizioni che sono poi state modificate quando gli accusatori hanno dichiarato di non essere stati non trafficati, ma aiutati dalla donna, che non avevano mai accusato di essere la capitana del natante su cui viaggiavano.
La sua vicenda sta facendo e ha scosso una parte più sensibile di opinione pubblica. Associazioni, singole persone e esponenti politici le hanno dichiarato solidarietà, è largamente diffusa la convinzione che lei sia innocente, vittima di false accuse e danno collaterale delle politiche migratorie del governo, che mirano alla criminalizzazione totale di chi arriva per mare e punisce in maniera severissima gli scafisti. Che spesso però sono soltanto persone migranti a cui viene messo in mano un gps e indicata, a grandi e incerte linee, la rotta da seguire per arrivare a terra.
Da nove mesi si trova in questa condizione a causa del Testo Unico sull’Immigrazione che le nega qualsiasi forma di protezione e la sottopone a un regime detentivo che la sta portando a una deprivazione fisica e psicologica particolarmente preoccupante. Ha già sostenuto due scioperi della fame, pesa 38 chili e in carcere le è stata negata la visita di una psicologa da lei indicata.
Una vicenda raccapricciante che vede protagonista un’attivista per i diritti umani che, sperando di trovare salvezza in un paese che doveva accoglierla, si ritrova incarcerata con accuse praticamente infondate.
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