Narges Mohammadi, attivista iraniana leader del movimento per i diritti umani che da anni si batte per l’abolizione della pena di morte.
Nel 2023, mentre ancora detenuta nel famigerato carcere di Evin, è stata insignita del Premio Nobel per la Pace per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per i suoi sforzi nella promozione dei diritti umani e della libertà per tutti e tutte.
Nata a Zanjan il 21 aprile 1972, è laureata in fisica all‘Imam Khomeini International University.
Attiva già dai tempi dell’università, scriveva articoli a sostegno dei diritti delle donne e faceva parte del Gruppo studentesco illuminato.
Ha scritto per diversi giornali riformisti e pubblicato un saggio politico dal titolo Le riforme, la strategia e la tattica.
È la vicepresidente del DHRC, Defenders of Human Rights Center, guidato da Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace, nel 2003.
Nel 1999, dopo aver passato un anno in prigione per le sue critiche al governo iraniano, si è sposata con il collega giornalista Taghi Rahmani, anch’egli arrestato più volte e attualmente rifugiato in Francia.
Nel 2009 ha vinto il premio Alexander Langer per il suo impegno per un ”altro” Iran. Non ha potuto partecipare alla cerimonia perché, all’epoca, era priva del passaporto.
Nell’aprile 2010 è stata detenuta nella prigione di Evin, a Teheran, per la sua appartenenza al DHRC. Dopo un mese è stata rilasciata per i suoi gravi problemi di salute, aveva contratto una malattia simile all’epilessia che le ha fatto perdere il controllo muscolare.
Nel luglio dell’anno successivo è stata nuovamente perseguita con l’accusa di aver attentato alla sicurezza nazionale e aver fatto propaganda contro il regime. Condannata a 11 anni di reclusione, ha appreso del verdetto solo attraverso i suoi avvocati. In corte d’appello la detenzione è stata ridotta a sei anni.
Il caso ha attivato le critiche di mezzo mondo, anche il Ministero degli Esteri britannico e una delegazione di politici internazionali si sono espressi in suo favore.
Amnesty International l’ha designata prigioniera di coscienza chiedendone l’immediato rilascio, avvenuto il 31 luglio 2012.
Il 5 maggio 2015 Narges Mohammadi è stata nuovamente arrestata con l’accusa di aver fondato un gruppo illegale che si batte contro la pena di morte, assemblea e collusione contro la sicurezza nazionale, propaganda contro il sistema per le sue interviste ai media internazionali e per il suo incontro con Catherine Ashton, l’allora Alta Rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
Nel gennaio 2019 ha iniziato uno sciopero della fame in carcere per protestare contro il divieto di accesso alle cure mediche e, in ottobre dell’anno dopo, è stata rilasciata.
Nel marzo 2021 ha scritto la prefazione all’Iran Human Rights, il rapporto annuale sulla pena di morte in Iran.
In un post del 24 maggio 2021 su Instagram, ha raccontato di essere stata condannata a due anni e mezzo di prigione, 80 frustate e a due multe per avere svolto attività pacifiche sui diritti umani, mentre si trovava detenuta ingiustamente. Il tribunale ha emesso la condanna perché ha partecipato, nel dicembre 2019, a un sit-in con le altre prigioniere del carcere di Evin, per protestare contro le uccisioni di manifestanti avvenute durante le rivolte scoppiate in tutto il paese nel novembre 2019.
Il 16 novembre 2021 è stata arrestata mentre partecipava a un memoriale per Ebrahim Ketabdar, ucciso dalle forze dell’ordine durante le proteste del 2019.
Questa indomita attivista che continua a entrare e uscire dalle prigioni dell’Iran senza mai retrocedere, continuando a denunciare tutti i soprusi sulla popolazione, è stata insignita di vari premi internazionali, tra cui il Premio Per Anger e il Premio Andrei Sacharov e, nell’ottobre 2023, l’Accademia di Oslo ha annunciato che è la vincitrice del Nobel per la Pace 2023.
Il comitato del prestigioso premio ha affermato che “la coraggiosa lotta di Narges Mohammadi ha comportato enormi costi personali. Il regime iraniano l’ha arrestata 13 volte, condannata cinque volte e condannata a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate“.
Il riconoscimento è considerato rivolto a un intero movimento in Iran di cui è leader indiscussa, con l’auspicio che sia di incoraggiamento a continuare l’incessante lavoro in qualunque forma.
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