Quando diciamo di voler mettere fine alla povertà dobbiamo mettere fine ai sistemi che creano la povertà derubando i poveri dei loro beni comuni, dei loro stili di vita e dei loro guadagni.
Il punto non è quanto le nazioni ricche possono dare, il punto è quanto meno possono prendere.
Noi possiamo sopravvivere come specie solo se viviamo in accordo alle leggi della biosfera che può soddisfare i bisogni di tutti se l’economia globale rispetta i limiti imposti da sostenibilità e giustizia. Come ci ha ricordato Gandhi: “La Terra ha abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di alcune persone”.
Vandana Shiva, attivista ambientalista, è la più famosa teorica dell’ecologia sociale.
Si batte da anni per la salvaguardia della diversità biologica e culturale contro le biotecnologiche delle multinazionali agroalimentari, gli OGM e la loro introduzione in India. Scrive saggi, articoli, tiene incontri e seminari in ogni paese del mondo.
Paladina dell’ecofemminismo, è la leader della rivoluzione verde.
Nel 1993 ha ispirato e guidato la mobilitazione di 500mila agricoltori contro il Gatt (Accordo generale sulle tariffe e sul commercio, Ginevra 1947).
Per il suo impegno civile, nello stesso anno, ha ricevuto il Right Livelihood Award, considerato il Nobel per la Pace alternativo.
È nata il 5 novembre 1952 a Dehra Dun, nell’India del Nord, da una famiglia progressista seguace degli insegnamenti di Gandhi. Suo padre era una guardia forestale e la madre una maestra di scuola diventata contadina dopo la sanguinosa guerra di partizione tra India e Pakistan. Sin da piccola è stata educata alla parità di genere e a disprezzare il sistema delle caste.
Dopo la laurea in filosofia della scienza, nel 1978, ha conseguito il dottorato di ricerca alla University of Western Ontario in Canada, con una tesi sulle implicazioni filosofiche della meccanica quantistica.
Tornata in India, è stata ricercatrice in politiche agricole ed ambientali all’Indian Institute of Sciences e all’Indian Institute of Management di Bangalore.
Nel 1982 ha creato Research Foundation for Science, Technology and Natural Resource Policy, istituto indipendente di ricerca.
Impegnata contro le monocolture che stanno distruggendo le foreste, minando, soprattutto, alla sopravvivenza delle donne, le cui antiche pratiche sono meno produttive ma più rispettose degli ecosistemi.
«Le donne non riproducono solo se stesse, ma formano un sistema sociale e dalla loro creatività proviene quello che io chiamo eco femminismo. Le donne sono le depositarie di un sapere originario, derivato da secoli di familiarità con la terra, un sapere che la scienza moderna baconiana e maschilista ha condannato a morte».
Nel 1991, ha fondato il movimento Navdanya (nove semi), a intendere le nove coltivazioni da cui dipendono la sicurezza e l’autonomia alimentare dell’India, presente al vertice di Rio de Janeiro nel 1992 dal quale sono nati i primi accordi internazionali per la protezione della biodiversità e per reprimere la biopirateria. Da quel momento la difesa dei semi autoctoni contro le multinazionali che cercano di rivendicare come loro “proprietà intellettuale” varietà agricole selezionate nei secoli da comunità locali, è diventato il suo maggior impegno.
Oggi Navdanya conta oltre 70 mila partecipanti, in gran parte donne, che praticano l’agricoltura organica in 16 stati del paese, una rete di 65 “banche dei semi” che conservano circa 6.000 varietà autoctone insegnando a vivere in modo sostenibile.
Nei suoi saggi correla la povertà del terzo mondo agli effetti della globalizzazione, sostiene che il ricorso diffuso alle monocolture altera gli equilibri del territorio e costringe a usare dosi elevate di insetticidi, che provocano la scomparsa di insetti indispensabili per l’impollinazione delle piante e indebitano i contadini a causa dell’alto costo dei semi ibridi che mal si adattano alle condizioni locali, richiedendo più investimenti in sostanze chimiche e irrigazione.
Nel suo libro Le guerre dell’acqua, ha criticato l’utilizzo improprio delle riserve di acqua che, invece di venir utilizzate a fini civili dalla popolazione, vengono sfruttate fino all’esaurimento per la coltivazione da parte di alcune aziende di piante idrovore come la canna da zucchero e l’eucalipto.
Consulente per le politiche agricole di numerosi governi, in Asia e in Europa, fa parte del direttivo di diversi organismi internazionali.
Nel corso degli anni non le sono state certo risparmiate le critiche. È stata tacciata di voler far regredire il sistema agrario senza tener conto dell’evoluzione economica e del fabbisogno incombente di cibo e anche di guardare troppo alla tradizione vedica in un periodo di forti tensioni con la minoranza musulmana.
Attualmente è vicepresidente di Slow Food e collabora con la rivista di Legambiente La Nuova Ecologia.
Contro la crisi del clima che avanza propone una rigenerazione a partire dal suolo e dalla gestione del cibo.
Alle nuove generazioni chiede di guardare al potere creativo in grado di trovare nuove strade per preservare la natura.
Nel suo nuovo libro, Parole che cambiano il mondo del 2023, prova a indicarci termini e soluzioni per un’economia di cura, una democrazia della Terra.
Spera in un mondo unito per la giustizia ecologica e climatica abolendo soluzioni disastrose come le compensazioni di carbonio o il cibo da laboratorio.
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